sabato 28 giugno 2008

Il vero Emilio Gauna




Il vero Emilio Gauna

di Giuliano




Emilio Gauna, quello vero, è il protagonista di “Il sogno degli eroi”, un romanzo di Adolfo Bioy Casares, scritto nel 1954, che inizia così:

Nel corso dei tre giorni e delle tre notti di carnevale del 1927 la vita di Emilio Gauna raggiunse il suo primo e misterioso culmine. Se qualcuno sia stato in grado di prevedere il terribile termine accordato e, da lontano, abbia alterato il flusso degli eventi, non è cosa facile da stabilire. Certamente, una soluzione che indicasse un oscuro demiurgo come autore dei fatti che la povera e frettolosa intelligenza umana vagamente attribuisce al destino, più che una luce nuova aggiungerebbe un problema nuovo.
Ciò che Gauna intravide verso la fine della terza notte diventò, per lui, come un bramato oggetto magico, ottenuto e perduto in una prodigiosa avventura. Indagare quella esperienza, recuperarla, fu negli anni successivi il tema delle conversazioni che tanto lo screditarono davanti agli amici. Gli amici si riunivano tutte le sere nel caffè Platense, all'angolo di via Iberà con il viale Del Tejar, e, quando non c'era il dottor Valerga, maestro e modello di tutti loro, parlavano di calcio. (...)


Adolfo Bioy Casares, amico e collaboratore di Borges, è uno scrittore che mi accompagna da molti anni; a lui ho rubato il nome che nasconde il mio anagramma (“ma è Giuliano / Emilio Gauna?”). Cerco di pagare il mio debito meglio che posso, chiedo scusa per l’abominevole furto e gli rendo omaggio portando qui l’incontro di Gauna (un giovane meccanico di Buenos Aires, negli anni ’20 del Novecento) con il Mago Taboada, che diventerà suo suocero. Gauna è andato dal mago solo perché ci sono andati tutti i suoi amici, tutti insieme, per non saper cosa fare e per far passare la serata. Come si vede subito, Gauna è molto scettico sui maghi.

(...)
L'ultimo a entrare fu Gauna. Serafin Taboada gli offrì una mano molto pulita e molto asciutta. Era un uomo magro, basso, con un'abbondante capigliatura, la fronte alta, ossuta, gli occhi infossati, e un naso rosso e prominente. Nella stanza c'erano molti libri, un armonium, un tavolo, due sedie; sul tavolo, un incontenibile disordine di libri e dì fogli, un portacenere con molti mozziconi, una pietra grigia che serviva da fermacarte. Due stampe - le effigi di Spencer e dì Confucio - erano appese alle pareti. Taboada fece segno a Gauna di sedersi; gli offrì una sigaretta (che Gauna non accettò) e, dopo averne accesa una, domandò:
- In che cosa posso esserle utile?
Gauna rifletté un momento. Poi rispose:
- In niente. Sono venuto per accompagnare i ragazzi.
Taboada buttò la sigaretta e ne accese un'altra.
- Mi dispiace, - disse, come se stesse per alzarsi e mettere fine al colloquio; rimase seduto e, in modo enigmatico, continuò: - Mi dispiace, perché avevo da dirle qualcosa.
Sarà per un'altra volta.
- Chissà.
- Non bisogna disperare. Il futuro è un mondo in cui c'è di tutto.
- Come nell'emporio qui all'angolo? - commentò Gauna.
- E' quel che afferma la pubblicità, però, mi creda, quando si va a chiedere qualcosa, rispondono che non ce n'è piú.



Gauna pensò che Taboada era forse piú un chiacchierone che non un uomo astuto o intelligente. Taboada continuò:
- Nel futuro scorre, come un fiume, il nostro destino, cosí come noi lo disegnamo quaggiú. Nel futuro c'è tutto, perché tutto è possibile. Lí è morto lei la settimana scorsa e lí sta vivendo per sempre. Lí si è trasformato in un uomo ragionevole e si è trasformato anche in Valerga.
- Non le permetto di burlarsi del dottore.
- Non sto burlandomi, - rispose brevemente Taboada, - ma vorrei domandarle qualcosa, se non se la prende a male: dottore in che?
- Lo saprà lei, - replicò subito Gauna, - dal momento che è un mago.
Taboada sorrise.
- Va bene, ragazzo, - disse.
Poi continuò a spiegare:
- Se nel futuro non troviamo quel che cerchiamo, sarà perché non sappiamo cercare. Possiamo sempre sperare in qualche cosa.
- Io non spero un gran che, - dichiarò Gauna. - Non credo, nemmeno, alle stregonerie.
- Può darsi che abbia ragione, - rispose con tristezza Taboada. - Ma bisognerebbe sapere che cosa intende lei per stregoneria. Mettiamo per esempio la trasmissione del pensiero. Non è un grande merito, glielo assicuro, sapere che pensa un giovane arrabbiato e pieno di paure.



Le dita di Taboada sembravano molto lisce e molto asciutte. Continuamente accendeva sigarette, le fumava un poco e le schiacciava nel portacenere. Oppure affilava la punta di una matita sulla carta vetrata di una scatola di fiammiferi. In quei movimenti non c'era alcun nervosismo. Quando gettava una sigaretta non era nervoso, ma assorto. Domandò:
- E' molto che abita in questo quartiere?
- Lo saprà lei, - rispose Gauna. Si domandò subito se il suo atteggiamento non fosse un po' ridicolo.
- E' vero, - riconobbe Taboada. - L'ha portato qui un amico. Poi ha conosciuto altri amici, meno degni, forse, della sua fiducia. Ha fatto una specie di viaggio. Adesso è nostalgico, come Ulisse ritornato a Itaca, o come Giasone quando pensava alle mele d'oro.
Non fu l'accenno all'avventura quel che attrasse Gauna. Nelle parole del Mago intravedeva un mondo sconosciuto, forse piú avvincente di quello coraggioso e nostalgico del dottore.
Taboada continuò:
- In quel viaggio (perché in qualche modo bisogna pure chiamarlo) non tutto è buono e non tutto è cattivo. Per lei e per gli altri, non lo intraprenda di nuovo. E' una bella memoria e la memoria è la vita. Non la distrugga
.


Gauna provò di nuovo avversione per Taboada; provava anche diffidenza.
- Di chi è quel ritratto? - domandò, per interrompere il discorso del Mago.
- Quella stampa rappresenta Confucio.
- Non credo ai preti, - affermò con durezza Gauna; dopo una pausa domandò: - Se voglio ricordare ciò che è avvenuto in quel viaggio, che cosa devo fare?
- Deve cercare di migliorare.
- Non sono malato.
- Un giorno capirà.
- Può darsi, - riconobbe Gauna.
- E perché no? Se vuole capire, si faccia mago; basta un po' di metodo, un po' di applicazione, mi creda, e l'esperienza di tutta una vita.
Con l'intenzione di distrarre Taboada, per ritornare poi all'interrogatorio, indicando la pietra che serviva da fermacarte, domandò:
- Che cos'è?
- E' una pietra, una pietra di Sierras Bayas. L'ho raccolta con le mie mani.
- Lei è stato a Sierras Bayas?
- Nel 1918. Per quanto sembri incredibile, raccolsi questa pietra il giorno dell'Armistizio. Come vede, si tratta di un ricordo.
- Nove anni fa! - commentò Gauna.
Si fece coraggio, pensò " è un povero vecchio " e, dopo un breve silenzio, domandò:
- In questa faccenda che lei chiama il mio viaggio, non devo continuare a fare indagini?
- Non bisogna smettere mai di indagare, - continuò il Mago. - Ma la cosa piú importante è lo spirito con cui indaghiamo.
- Non la seguo, signore, - riconobbe Gauna. - Allora, perché devo dimenticare quel viaggio?
- Ignoro se deve dimenticarlo. Non credo nemmeno che possa dimenticarlo; penso, semplicemente, che non le conviene...
- Ora le faccio una domanda personale. Spero che sappia interpretarmi. Che pensa di me?
- Che penso dì lei? Come vuole che le dica in due parole quel che penso di lei?
- Non si arrabbi, - replicò Gauna con soavità. - Come al pappagallo che estrae il biglietto verde, le domando: 'Sarò fortunato o no? La mia salute è buona o no? Sono coraggioso o no?'
- Credo di capirla, - rispose il Mago; poi seguitò con tono distratto: - Per quanto sia coraggioso un uomo non è coraggioso in tutte le occasioni.
- Va bene, - disse Gauna. - Ho visto una maschera...
- Lo so, - rispose il Mago.
Ormai fiducioso, Gauna domandò:
- La vedrò di nuovo?
- Mi domanda se la vedrà. Sí e no. Io l'ho difeso contro un dio cieco, ho rotto il tessuto che doveva formarsi. Benché sia piú sottile che se fatto d'aria, tornerà a formarsi appena non ci sarò io a evitarlo.
Di nuovo, Gauna sentí confermati il suo disprezzo e il suo rancore. Adesso voleva soltanto terminare il colloquio; alzandosi, domandò:
- C'è qualche altro consiglio per me?
Taboada rispose con voce monotona:
- Non ci sono consigli da dare. Non ci sono fortune da predire. La consultazione costa tre pesos.



Gauna, con finta distrazione, diede uno sguardo a una pila di libri; lesse sui dorsi nomi stranieri: un conte, che doveva essere italiano, perché aveva, a parte altre follie, una " t " e quel titolo o cognome che gli suggerí l'idea di scrivere un giorno una lettera ai giornali per dire quattro verità che gli stavano a cuore e di adoperarlo come firma: Flammarion.
Mise i tre pesos sul tavolo. Taboada lo accompagnò alla porta. La figlia di Taboada stava aspettando l'ascensore. Gauna disse: - Come sta? - ma non osò darle la mano.
Mentre scendevano, la luce si spense e l'ascensore si fermò. Gauna pensò: ora sarebbe il caso di fare un'allusione opportuna. Poi balbettò:
- Suo padre non mi ha detto che oggi era la mia giornata.
La ragazza rispose con naturalezza:
- E' un corto circuito. Da un momento all'altro la luce ritornerà.
Gauna non si curò piú delle proprie reazioni, dei propri nervi o di quel che doveva dire; sentí la presenza della ragazza, come a un tratto si sente, imperioso, un battito al cuore. La luce si accese e l'ascensore scese placidamente. Sul portone la ragazza gli diede la mano e, sorridendo, gli disse:
- Mi chiamo Clara.
Poi la vide correre verso un'automobile che aspettava accanto al marciapiede. Alcuni giovanotti scesero dall'automobile. Gauna pensò che la ragazza avrebbe raccontato loro ciò che era successo e che avrebbero riso di lui. Li sentí ridere.

(Adolfo Bioy Casares, Il sogno degli eroi, cap. XIII) (traduzione di Livio Bacchi Wilcock, edizione Bompiani 1968)



“Il sogno degli eroi” parla del destino, se esiste e se sia possibile cambiarlo, se è vero che il nostro mondo è fatto di sentieri che si biforcano (e ognuno di questi sentieri porta a un nostro io diverso), e soprattutto se noi meritiamo che si cambi in meglio il nostro destino. Perché un destino migliore bisogna meritarselo, se noi ci lasciamo andare nessun mago Taboada potrà proteggerci e cambiare il nostro futuro.

Adolfo Bioy Casares fu amico e collaboratore di Jorge Luis Borges. Insieme hanno scritto molti libri, come i gialli di "Sei problemi per don Isidro Parodi" (l'uomo che risolve i casi più misteriosi stando chiuso in una cella del carcere), e le raccolte "Cielo e inferno" e "Racconti brevi e straordinari". Bioy e Borges, con Victoria Ocampo e Silvina Ocampo (quest'ultima fu moglie di Bioy) hanno realizzato molti altri libri e antologie pieni di cose inaspettate, che purtroppo sono ormai un po' difficili da recuperare ma che sono stati sempre pubblicati anche in Italia.

I tarocchi sono di Sergio Toppi (Tarocchi delle origini e Tarocchi universali, edizioni Scarabeo) e di Emanuele Luzzati (Tarocchi dei bambini, sempre edizioni Scarabeo).
Il dipinto nella copertina del Sogno degli Eroi è di Giorgio De Chirico, "eroi d'Omero", 1929.





2 commenti:

Solimano ha detto...

Giuliano, non avevo mai letto questo brano. Mi sembra che Bioy sia piuttosto diverso da Borges, che di fronte ed un tema del genere avrebbe mantenuto una lucidità splendida ed ironica. Qui Bioy fa un po' il misterico un po' intorcinato, succede sempre quando entra in ballo la parola destino, riguardo a cui le parole più sagge sono ancora quelle di Sofocle: "Il carattere dell'uomo è il suo destino".
E' una bella gara fra i tarocchi di Toppi e quelli di Luzzati. Io scelgo Toppi perché mi sento più consentaneo, ma Luzzati è incantevole. Vorrà dire che tirerò fuori dal cassetto i tarocchi Viscontei, mi ci vuole solo l'argomento giusto.

saludos
Primo

Giuliano ha detto...

Bioy Casares mette sempre i suoi ragionamenti ben dentro la vita quotidiana: è il suo pregio e anche il suo limite. Non a caso, Emilio Gauna è un meccanico e gli altri protagonisti del libro sono i suoi compagni di lavoro e di serate.
Questo romanzo non è dei più lineari, ma ha molti momenti notevoli.
Il "sogno degli eroi" che dà il titolo al libro è nel finale, ed è ben esemplificato dal De Chirico sulla copertina dell'edizione italiana (penso l'unica, non mi sembra che sia mai stato ristampato: io lo avevo comperato già ai Remainders, primi anni '70...)